venerdì 25 novembre 2016

Piero Simondo a Silkeborg

Il Museo Jorn (cfr. www.museumjorn.dk) fu avviato a Silkeborg, nel cuore della Danimarca, da Asger Jorn (1914-1973), fondatore del Gruppo CoBrA, del M.I.B.I., dell’Internazionale Situazionista, per ospitare la propria collezione che comprendeva circa 400 sue opere nonché quelle di artisti quali Léger, Picasso, Miró, Ernst, Le Corbusier e Dubuffet.

Le quattro litografie di Sandro Cherchi, Franco Garelli, Piero Simondo e Asger Jorn che oggi pubblichiamo fanno parte fin dagli anni Sessanta di questo museo: realizzate nel corso del primo “Congresso mondiale degli artisti liberi” ad Alba nel settembre del 1956, testimoniano gli scambi e i dialoghi avvenuti in quella sede, anche sul piano della produzione artistica.

Le litografie sono catalogate on line sul portale del ministero della cultura danese: www.kulturarv.dk/kid/Forside.do


Piero Simondo, Senza titolo, litografia, 35 x 25 cm, 1956.
Asger Jorn, Senza titolo, litografia, 35 x 25 cm, 1956.
Franco Garelli, Senza titolo, litografia, 35 x 25 cm, 1956.

Sandro Cherchi, Senza titolo, litografia, 35 x 25 cm, 1956.









venerdì 18 novembre 2016

Monotipi, ovvero la leggerezza della materia

«In questo caso Simondo propone un’arte tenue, e volutamente fragile, legata alla natura rarefatta della tecnica scelta, che comporta una sensibilità estrema nel maneggiare la pittura nitro su carta, trasformandola nei vari passaggi della matrice sul foglio in qualcosa d’impalpabile come il polline, o le polveri colorate degli ossidi. I risultati sono indubbiamente intensi, come se osservassimo delle superfici innervate di segni, più o meno sonori, che si irradiano nello spazio e lo dominano con la loro sensibilità barocca.

Questa tecnica del monotipo - il quale non esclude enigmatiche sorprese in quanto il risultato dipende dalla quantità di materia posta sulla matrice, e dal tipo di pressione fatta dalla mano, o dall’oggetto, che preme il retro del foglio da imprimere - elimina il chiaroscuro, importante invece in pittura, e da tale soppressione del contrasto di valori, nasce un nuovo tipo di bidimensionalità, capace di respirare e pulsare, in cui i filamenti di colore servono a dare nuove conformazioni allo spazio, ma non a separare, ed anzi servono a delimitare, non limitare.

Un gruppo di lavori - quasi sempre verticali, per alludere alla presenza sotterranea affiorante della figura - con contrasti di tono cromatico, prevalentemente in bianco/nero […] si oggettivano in una costellazione di chiari e di scuri in cui ogni suggestione di plasticità viene annullata a favore della leggerezza e della vaporosità.

Simondo va dunque oltre il "pittorico" puro per comprendere l'idea di colore […] per cui la linea e il colore vanno al di là della fisicità della loro sostanza materiale, e si attestano su quella particolare condizione fenomenologica, che potrebbe anche essere definita «inconscio ottico» (Rosalind Krauss).

Secondo questo modello l'opera si realizza tra arte e vita; la linea è ridotta a nient'altro che al residuo di un'attività del segnare lo spazio, rendendo irrilevante tutta la questione del disegno.»

Marisa Vescovo, Simondo. Monotipi, ovvero la leggerezza della materia, nel catalogo della mostra Simondo. Monotipi, Spazio Bianco, Torino, 4 - 22 marzo 2013.



Senza titolo, monotipo a nitro su carta, 1954, 70 x 50 cm
Giochi, monotipo a nitro su carta, 1955, 92 x 58 cm
Figure nere, nitro su carta, 1954, 80 x 58 cm

venerdì 11 novembre 2016

Gli amici di Piero: Asger Jorn

«Ho conosciuto Asger Jorn una sera d'agosto del 1955 ad Albisola, in una saletta del Bar Testa, allora ritrovo d'artisti.

Quando l'ho conosciuto non avevo ancora visto un suo quadro, non sapevo cosa facesse, ed ovviamente non avevo la minima idea se la sua pittura potesse interessarmi, anche se mi era stato vagamente accennato da Antonio Siri, scultore albisolese, di questo vichingo pittore calato in Italia. Non che il mio eventuale interesse per la sua pittura fosse importante: non ero e non sono un critico.

Se ci ripenso oggi, sono molto contento che le cose siano andate così: ho conosciuto Asger come individuo, come uomo, non come pittore, non attraverso il filtro sviante di un'opera, non attraverso la curiosità snobistica nei confronti di una conclamata ultra-avanguardia e di un rappresentante esotico della stessa; pertanto non attraverso entusiasmi da salotto amatoriale-galleristico (un calice di bianco, una tazza di thé, una fetta di salame su pane nero - bla-bla), né attraverso deformazioni e gelosie piccolo-pittoriche, piccolo-provinciali, piccolo-albisolesi o milanesi o copenhaghesi, o parigine etccccc. Non che io fossi più ingenuo di quant'ero, né lui, d'altronde.

Asger Jorn era bello, biondo, occhiazzurri, c'era, si vedeva, suonava l'ukulele e pareva non occuparsi d'altro, quella sera, oltraggiosamente, che di quel suo piccolo chitarrino, un giocattolo buffo nelle mani di un uomo grande e grosso, con mani di chi lavora con le mani. Dico così non per farmi vanto della mia conoscenza di lui, come se nessun altro lo avesse visto come uomo prima che come pittore, intellettuale, avanguardista post-storico, ma perché Asger diceva di sé di non essere un pittore ma di farlo, così come non era ma faceva molte altre cose.

Abbiamo cominciato a parlare insieme quella sera stessa, sul tardi, mentre gli altri pittori di Albisola folleggiavano a mezzanotte sulla spiaggia, in quella saletta di bar, dove esponevo occasionalmente, su invito degli amici Siri, Sciutto e Caldanzano, pitture su legno fatte con resine naturali, e abbiamo continuato per ore. Devo confessare che è stato come un innamoramento, una fascinazione intellettuale: parlavamo e pareva che avessimo cose da dire, che ci capissimo, che avessimo qualcosa in comune da fare e la disponibilità per farlo. Incredibile ancora oggi in questo silenzio pieno di parole che ci avvolge soffocante.

Asger Jorn aveva questo potere, era un motore e un promotore intellettuale, era un agitatore, un creatore di movimento: più tardi affascinò anche quella che è oggi mia moglie e ci mettemmo insieme a lavorare su idee la cui attualità è e mi pare innegabile: l'idea stessa di un Bauhaus immaginista che mettesse in crisi il vecchio, radicalmente, ma insieme recuperasse la necessità di un lavoro da fare, di un confronto con la realtà, di una presa di coscienza critica dei problemi, delle contraddizioni, delle stesse possibilità offerte e negate: c'era nel vecchio Bauhaus di Gropius, Klee, Kandinsky, una ricchezza di problemi e di "errori" che non può essere liquidata con spirito da storico entomologo come una farfalla infilzata e classificata per sempre e a futura memoria; l'idea che toccasse al pittore di ripensarsi l'estetica della pittura, che gli toccassero i problemi teorici della forma "sensibile"; il coraggio di parlare di dialettica, di triolettica, di arte e con azzardo di complementarità secondo Niels Bohr; l'idea di confrontare l'arte con la politica, ma anche con la scienza e la tecnologia, senza dare per scontati i presunti superamenti, le morti e le palingenesi rivoluzionarie.

Il coraggio di pensare gli apparteneva. L'aveva ancora l'ultima volta che l'ho visto, a Torino, in casa mia, nel 1968, durante un'ultima lunghissima e bella discussione. Come tutti sanno, a cinquantanove anni Jorn non c'era più. Per me, per Elena, non era l'artista ormai famoso che era scomparso ma l'amico che avevamo amato così com'era, con i difetti innegabili e le indubbie e grandi virtù.»

Piero Simondo, Ricordo Asger Jorn, 1986

[pubblicato in Sandro Ricaldone (a cura di), L'immagine imprevista, Il Canneto Editore, Genova, 2001].



Asger Jorn

Laboratorio Sperimentale per una Bauhaus Immaginista, Alba, 1956.
in alto: da destra, Piero Simondo, Gil Wolman, Asger Jorn, Giors Melanotte, Constant
in basso: da sinistra, Piero Simondo, Pinot Gallizio, Asger Jorn, Jacques Calonne. 



venerdì 4 novembre 2016

Ipse dixit: Sandro Ricaldone su Piero Simondo

«Simondo impiega o inventa tecniche che consentono di scavalcare la stratificazione di significati che l’intenzionalità e persino la manualità del pittore inevitabilmente finiscono per riproporre. Il suo obiettivo è la creazione di immagini attraverso un processo sperimentale, concepito non quale mezzo per verificare un’ipotesi ma per suscitarla; come artificio per materializzare, si potrebbe dire chimicamente, l’imprevisto. Così l’artista, attraverso le sue pratiche peculiari (imprimere, levare, coprire) tenta – per riprendere un’espressione di Odo Marquand – di ‘costringere alla resa la disciplina ufficiale della visione grazie alla capacità di vedere ciò che ancora non è stato visto'».

Sandro Ricaldone (a cura di), Piero Simondo. L'immagine imprevista, Il Canneto Editore, Genova, 2011.